Corriere della Sera
Lunedì 1 ottobre 1990
Emilio Farina – Dieci anni di lavoro con la figura dell’angelo per filo conduttore. All’inizio Farina ha cercato di visualizzarlo conservandone i caratteri d’immaterialità, con una sovrapposizione di garze che lasciano intravedere come in filigrana la sua presenza efebica. Un altro dipinto di quel momento attesta una squisitezza di gamma cromatica e una preziosità di ritmo che piacciono incondizionatamente, ma che il pittore ha sentito come troppo edonistici. Allora ha cercato di sperimentare, trasformando l’immagine in oggetto, con una coda colorata come una cometa che dissemina frammenti nell’ambiente attraversato. Col tempo, Farina ha cercato di dare una fisicità, un «pondus» alle sue angeliche con mezzi puramente pittorici, ricorrendo a suggestioni barocche e fondandosi su apparizioni fantasmagoriche come il Colonnato di San Pietro o la Basilica Palladiana. Le figure si vedono bene, nettamente campite, ma la loro interpretazione è incerta o, meglio, polisemia. La pittura si stratifica, con colori densi e spesso compare come uno schermo o una griglia come piano su cui si condensa l’immagine. Nel percorso di avvicinamento a questa pittura dai caratteri matrici così pronunciati, Farina ha realizzato delle sculture vere e proprie, con corpi sottili come sfoglie, ma dai colori densi.
Enzo Bilardello