N° 122 – Estate 1984 – Emilio Farina
L’opera di Emilio Farina non si dà mai come messa a fuoco dell’immagine, ma piuttosto come un’immagine messa a fuoco, costruita attraverso le lingue infuocate di una pittura che colma e ingravida lo spazio del proprio passaggio. Si tratta di una vera scalata, di una ascensione che trascina con sé i dettagli, i frammenti del corpo originario, della matrice di partenza. Eppure non si ha la sensazione di una sedimentazione, di uno spessore, bensì di una trasvolata, di un contatto realizzato solo per sfioramento. Ma è proprio questa dimensione atmosferica, questa precaria leggerezza di tocchi che permette all’artista di stare su tutti i fronti, senza in fondo affrontare (definire) nulla, se non proprio la mappa dei suoi itinerari operativi, le tracce della sua mobilità esecutiva.
Non un precipitarsi verso la figura, ma un far funzionare la figura come precipizio del gesto; un corpo annegato che esibisce la propria negazione, che mette in vista (in luce) la propria messa in ombra…
Luigi Meneghelli